IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Rilevato  che  Vavassori  Bruno,  in  data  3  giugno  1990 veniva
 arrestato in flagranza del reato di detenzione  di  23  gr  circa  di
 eroina      (poi     risultati     all'esito     della     consulenza
 tecnico-tossicologica disposta dal p.m. gr 18,808 lordi  e  gr  2,653
 netti di sost. stup.) e in sede di udienza di convalida ammetteva non
 solo la detenzione, ma anche la detenzione della sostanza  almeno  in
 parte allo spaccio;
    Rilevato  inoltre  che  il predetto, attualmente detenuto ai sensi
 dell'ordinanza pronunciata in data 6 giugno 1990 dal g.i.p. all'esito
 dell'udienza  di convalida, veniva rinviato a giudizio con decreto di
 giudizio immediato del 13 agosto 1990, su richiesta del  p.m.  del  2
 agosto 1990;
    Rilevato   infine   che   il   Vavassori,   chiedeva   in  termini
 l'applicazione del rito abbreviato ai sensi dell'art. 458 del c.p.p.,
 e  che  il p.m. esprimeva il proprio dissenso "ritenendo opportuno il
 dibattimento ai fini della decisione e non  volendo  rinunciare  alla
 possibilita' di appello in punto pena";
                             O S S E R V A
    Il  meccanismo  processuale di cui all'art. 458 del c.p.p. prevede
 un  "giudizio  abbreviato  atipico"  conseguente  all'emissione   del
 decreto  di  giudizio  immediato,  evidentemente  al duplice scopo di
 offrire all'imputato per il quale il p.m. abbia scelto  la  procedura
 di  cui agli artt. 453 e segg. del c.p.p. di usufruire dei benefici -
 processuali - sostanziali del rito abbreviato  consentendo  anche  in
 questo  caso  alle  parti  la  possibilita' di concludere il processo
 prima del dibattimento, pure gia' fissato.
    Tuttavia l'articolo oggetto di esame non prevede ne' l'obbligo per
 il p.m. che dissenta di manifestare il proprio dissenso (in quanto il
 silenzio  nei  termini  di  legge  configura  una  sorta di "silenzio
 rifiuto")  ne'  quello  di  motivare  tale   dissenso   eventualmente
 manifestato.
    Questi  due  profili rivestono grande interesse per quanto attiene
 alla   legittimita'   costituzionale    dell'istituto    in    quanto
 indirettamente  rendono  il p.m. arbitro dell'applicazione di un rito
 che, pur evendo effetti di natura squisitamente processuale,  non  e'
 certo  privo  di  effetti sostanziali, vantaggiosi per l'imputato - e
 spesso per lui di gran lunga piu' allettanti dei primi -  cio'  priva
 l'imputato non solo della possibilita' di veder celebrato il processo
 in camera di consiglio e ottenere  la  riduzione  automatica  di  1/3
 della pena, ma perfino del diritto a veder valutata la sua istanza da
 parte  del  giudice,  con  violazione  degli  artt.  3  e  24   della
 costituzione.
    I  suddetti  profili  non  appaiono tuttavia rilevanti nel caso di
 specie in quanto il p.m. ha espresso in termini un dissenso  motivato
 alla richiesta di rito abbreviato presentata dal Vavassori.
    Tuttavia,  come  la  Corte costituzionale nelle sue sentenze n. 66
 dell'8 febbraio 1990 e n. 183 del 18 aprile 1990 non  ha  mancato  di
 sottolineare,  la  motivazione  del dissenso da parte del p.m. non ha
 alcun senso logico-giuridico se non e' poi consentito al  Giudice  di
 valutare il dissenso stesso ed eventualmente disattenderlo applicando
 comunque la riduzione di pena prevista dall'art. 442, secondo  comma,
 del c.p.p.
    Nel  caso  di specie la normativa speciale di cui all'art. 458 del
 c.p.p., cosi' come  quella  generale  dalla  stessa  richiamata,  non
 prevede alcun meccanismo di controllo da parte del giudice.
    Cio' si appalesa in contrasto:
      1)  con  l'art.  24 della Costituzione perche' non garantisce il
 diritto della difesa  alla  valutazione  e  decisione  da  parte  del
 giudice  su  un'istanza  da cui possono discendere importanti effetti
 anche di carattere sostanziale;
      2)   con  l'art.  3  della  Costituzione  per  la  irragionevole
 posizione di supremazia  implicitamente  riconosciuta  ad  una  parte
 processuale  (p.m.)  rispetto all'altra attraverso l'esercizio di una
 sorta di diritto di veto su un'istanza da questa avanzata;
      3)  con  l'art.  3  della  Costituzione  per  la  disparita'  di
 trattamento che potrebbe verificarsi  fra  coimputati  con  posizioni
 uguali cui il p.m. rispettivamente conceda o neghi il consenso;
      4)  con  l'art.  3  della  Costituzione  per  la  diversita'  di
 trattamento in cui viene a trovarsi l'imputato che chiede il giudizio
 abbreviato   nel  caso  del  giudizio  direttissimo  e  del  giudizio
 immediato, per effetto della sentenza della Corte  costituzionale  n.
 183  del  18  aprile  1990  la  quale nel primo caso ha dichiarato la
 incostituzionalita' della norma che non prevedeva  la  sindacabilita'
 del  dissenso  del  p.m.  e  ha consentito al giudice di applicare la
 riduzione di pena quanto abbia ritenuto  ingiustificato  il  dissenso
 stesso;
      5)  con  gli  artt.  101  e  102  della  Costituzione perche' in
 contrasto con le attribuzioni proprie del giudice, impone  all'organo
 giudicante  delle  limitazioni  incompatibili  con  l'esercizio della
 potesta' giurisdizionale che gli compete e lo rende soggetto non piu'
 solo   alla   legge,  ma  al  potere  discrezionale  (in  quanto  non
 sindacabile) del p.m. cui viene per questa via attribuito  un  potere
 decisorio,  sia  pure  mediato  dalla scelta del rito, in ordine alla
 misura della pena;
      6)   con   l'art.   25  della  Costituzione  perche',  affidando
 all'arbitrio  del  p.m.  l'applicazione  del  rito  e  quindi   della
 riduzione  di  pena, fa dipendere la misura della stessa (con o senza
 la riduzione di 1/3) non  dalla  legge,  ma  da  un  atto  di  parte,
 violando  sul  punto la riserva di legge che viceversa imporrebbe per
 scelta  anche  prodecurali  che  incidono  direttamente  sulla   pena
 l'individuazione di criteri astratti, generali e sindacabili.
    La  questione  di  legittimita' costituzionale, cosi' prospettata,
 oltre che non  manifestamente  infondata  appare  rilevante  per  due
 motivi:
      1)  perche'  l'imputato  non  avrebbe  piu'  la  possibilita' di
 reiterare la sua richiesta in quanto il  rito  abbreviato  e'  tipico
 della fase antecedente al dibattimento (ad accezione dei casi di rito
 direttissimo e transitorio);
      2)  perche'  in  concreto questo giudice ritiene che il possesso
 sia definibile allo  stato  degli  atti,  sicche',  contrariamente  a
 quanto  succintamente addotto dal p.m. a sostegno del suo dissenso il
 dibattimento - a fronte della flagranza  della  confessione  e  della
 consulenza  tecnica  in  atti  -  non appare necessario ai fini della
 decisione.
    Sotto  questo  profilo  ritiene  questo  giudice,  conformemente a
 quanto evidenziato  dalla  Corte  costituzionale  nelle  gia'  citate
 sentenze  e  a  quanto  emerge  da  una  interpretazione  sistematica
 dell'istituto, che i criteri di riferimenti per  la  motivazione  dal
 dissenso devono ricollegarsi alla decidibilita' del procecimento allo
 stato  degli  atti,  sicche'  l'ulteriore  motivo  addotto  dal  p.m.
 (volonta'  di  non  rinunziare  all'appello  in  punto pena) non puo'
 assumere rilievo e rappresenta una motivazione solo apparente che  in
 realta' nasconde un'opzione arbitraria.
    In  ogni  caso  la  suddetta  motivazione  non e' condivisibile in
 quanto  investe  uno  degli  effetti  tipici  del  rito   abbreviato,
 normativamente  previsto  (v.  art.  442,  secondo  comma, richiamato
 dall'art. 458 del c.p.p.) e voluto dal legislatore nell'esercizio del
 suo  potere sovrano cui il p.m. e il giudice non possono e non devono
 sottrarsi con forme di vera e propria disapplicazione, quale  sarebbe
 il  diniego  del  rito  abbreviato  per  il solo motivo che uno degli
 effetti dello stesso non e' gradito o condiviso.